Sotto la spinta degli accadi, che già prima del 2200 diedero vita in Mesopotamia a un potente impero, altri popoli semitici si misero in movimento verso occidente. Tra essi c’erano le genti di Abramo che, provenendo da Ur dei Caldei nella Mesopotamia sud occidentale, superarono il Giordano per entrare nella Palestina occidentale nel XVIII sec. a.C. Gli ebrei (da habiri, ossia "coloro che vengono dal di là" del Giordano) condussero vita nomade o seminomade e furono guidati da diversi capi tribù, i patriarchi, tra i quali le Scritture, oltre ad Abramo, ricordano Isacco e Giacobbe detto Israele, che è il nome nazionale del popolo ebreo. In seguito a una grave carestia, Giacobbe condusse alcune tribù in Egitto, probabilmente quando gli hyksos governavano il Basso Egitto da Avaris (1650 a.C.); vi rimasero 400 (o 430) anni e sotto la XVIII dinastia, quando gli hyksos erano già stati cacciati (1575 a.C.), vissero ai limiti orientali del delta, in condizioni che le scritture definiscono "servili". Durante gli ultimi anni del faraone Ramses II o i primi del suo successore Meneptah, il condottiero Mosè guidò l’esodo (=uscita) dall’Egitto, per far ritorno alla terra che Dio aveva promesso ai discendenti di Abramo (1250 a.C.). Attraversato il "Mare dei Giunchi" (un tratto del Mar Rosso), 600 mila Ebrei (o più probabilmente 600 famiglie o clan) scesero dapprima lungo la penisola del Sinai e poi risalirono l’altopiano calcareo del Paran fino a Kadesh, che, per 38 anni, rimase il centro della loro migrazione attraverso i deserti del Negev e di Edom. Forse, approfittando delle invasioni dei popoli del mare che provocarono sulla costa siro-palestinese l’antico frazionamento delle città-stato, gli ebrei varcarono il Giordano sotto la guida di Giosuè, il successore di Mosè, e penetrarono lentamente in Transgiordania, abbattendo Gerico ed Ai che aprì loro la porta del Canaan, la Terra Promessa. In Palestina gli ebrei si organizzarono in una federazione di dodici tribù, a ognuna delle quali venne assegnato in sorteggio un territorio che, tra il 1190 e il 1150 a.C., dovettero contendere alle popolazioni in mezzo alle quali si erano insediati. Ma la mancanza di un potere centrale creò molti attriti tra le tribù le quali, per questo, chiesero al guidice-profeta Samuele di scegliere un sovrano unico. Nel 1030 a.C., Saul della tribù di Beniamino diventò primo re di Israele e per venti anni condusse il suo popolo contro le popolazioni del Negev e della costa, soprattutto contro i filistei (episodio di David e Golia). A Saul succedette David (1004 a.C.) che conquistò Gerusalemme facendone la sua capitale e che assoggettò come tributari i piccoli stati confinanti. Con Salomone, suo figlio (966-926 a.C.), iniziò l’età d’oro durante la quale il regno visse nella pace e nell’abbondanza: intensi furono i rapporti con le città fenicie e i confini del territorio toccarono l’Egitto, di cui Salomone sposò una principessa. Ma alla sua morte si determinò una grave crisi interna e il regno si divise; a nord nacque il regno d’Israele con capitale Samaria; a sud il regno di Giuda con capitale Gerusalemme. I regni di Israele e di Giuda non ebbero vita lunga e caddero uno preda degli assiri (722 a.C.), l’altro dei babilonesi (587 a.C.); le città degli ebrei vennero distrutte e le popolazioni deportate (Cattività babilonese). Quando Ciro, re dei persiani, conquistò Babilonia (539 a.C.) gli ebrei ripeterono il percorso del patriarca Abramo e rientrarono in Palestina, dove, a Gerusalemme, costruirono un nuovo tempio a Dio, col consenso dei persiani ai quali erano sottomessi.